mercoledì 10 maggio 2017

DAL TOP DOWN ALL'EMPOWERMENT.


Qualche tempo fa avevamo cominciato a parlare di evoluzione del controllo di gestione (FUORI DAI LIMITI, L'ALLEGORIA DELLA CAVERNA DI PLATONE). 
Oggigiorno la vera funzione delle informazioni gestionali è aiutare le aziende a diventare reattive, mediante la creazione di rapporti con clienti soddisfatti, e adeguate riducendo le variazioni, i ritardi e gli eccessi di produzione.
Bisogna trovare una via di mezzo, un juste milieu tra l'uso delle informazioni contabili, che dicono la misura dei fattori produttivi e delle transazioni di interna es esterna gestione, e le informazioni che provengono dai clienti e dai processi. Senza capire i processi aziendali ed indagare a fondo la reazione e la relazione con i clienti, la contabilità analitica ed industriale ci avverte dopo e tardi che sta succedendo qualcosa; d'altro canto l'analisi dei processi senza la misura dovuta alla contabilità non ci fa esattamente capire l'entità del problema e decidere la gerarchia e priorità delle cose da fare.
Inserire a pieno titolo l'analisi della soddisfazione dei clienti e l'analisi dei processi accanto alla contabilità direzionale è un cambiamento che ancora poche aziende hanno adottato, non tanto e non solo perché non rientra nella tradizione del controllo di gestione; quanto per il cambio di paradigma che esse comportano in ordine al modello di comando aziendale.
Non si tratta di mettersi a tavolino e creare un diagramma di flusso per mappare le fasi e le operazione dei processi aziendali sensibili, individuare i colli di bottiglia, i blocchi, i salti, le interazioni, le alternative, la corretta sequenza, ecc. O meglio non si tratta solo di questo.
Si tratta di una filosofia aziendale che permette di delegare ai chi effettivamente svolge le funzioni, a qualsiasi livello, di risolvere i problemi e migliorare costantemente la produzione di processi mirati esattamente alle esigenze dei clienti. Le aziende hanno bisogno di di informazioni che permettano di responsabilizzare i dipendenti  a pensare ed agire con decisione in base alla loro esperienza e alle loro conoscenze. In questo contesto, responsabilizzare significa semplicemente fornire ai dipendenti una formazione congrua, ma soprattutto le informazioni necessarie per la risoluzione dei problemi e chiedere loro di migliorare continuamente la produzione dei processi.
Per esperienza, so che questa organizzazione del lavoro è più facile da ottenere in particolari condizioni, cioè nella produzione su commessa di alta specializzazione, dove ancora oggi prevale la figura dell'operaio professionale e del tecnico di medio-alto livello, e la produzione avviene in isola, e non in catena di montaggio. Così come il modello è spesso adottato nelle grandi aziende che costruiscono servizi personalizzati di alta specializzazione.
Tuttavia, anche nella produzione di massa e in flusso continuo, non viene meno l'esigenza che di avere clienti soddisfatti, perché anche in questo caso la motivazione delle persone che hanno sufficienti informazioni è essenziale per eliminare i ritardi, gli eccessi e le variazioni di produzione dovute alla determinazione centralizzata della produzione sulla base della semplice contabilità.
Vedremo successivamente come organizzare un siffatto sistema. 
 

sabato 29 aprile 2017

SEMPRE SULLA CORRETTEZZA DEGLI AQUISTI, LA CORRETTA CONTABILIZZAZIONE.



Continuiamo il nostro discorso sui rischi inerenti gli acquisti, uno dei settori aziendali dove è piú facile che si verifichino rischi ed errori. Nel post del 04/04/2017 abbiamo preso in considerazione il rischio nella procedura di acquisto, oggi parliamo di rischio nella contabilizzazione degli acquisti. Perché gli errori si possono annidare anche nella rappresentazione contabile dell'approvvigionamento, anzi tali errori sono quelli che traggono maggiormente in errore in quanto noi riteniamo solitamente che il valore contabile ci dica tutto di un determinato acquisto.

Innanzitutto ci scontriamo spesso con
SPESE REGISTRATE PER UN IMPORTO ERRATO
E' un rischio che, appunto, si può verificare spesso quando si omettono, per prassi o per mancanza di tempo, normali controlli di verifica al momento della registrazione stessa:
1) controllo delle fatture sui termini di pagamento, calcoli, sconti, prezzi, quantitá; chi fruisce di un sistema di Fatturazione Passiva sa quanto sia importante, ai fini della correttezza della gestione fisica e contabile della merce, che il procedimento sia scomposto nelle fasi di Ordine-Ricezione-Magazzino-Contabilizzazione utilizzando sempre la stessa informazione opportunamente aggiornata;
2) riconciliare degli estratti conto dei fornitori con i saldi contabili;
3) ne caso non si utilizzi un sistema di Fatturazione Passiva e le fatture di acquisto siano registrate indipendentemente dall'informazione di ricezione effettiva della merce, è sempre buona norma spuntare i valori di prima nota delle fatture registrate, stampatae su supporto cartaceo, con in mano le fatture vere e proprieda verficare.

In quest'ultimo caso, cioé dove gli uffici contabili registrano i documenti indipendentemente dalla ricezione della merce, puó verificarsi il caso in cui vi siano
ACQUISTI CONTABILIZZATI PER MERCE O SERVIZIO NON RICEVUTI
In questo caso puó essere utile che:
1) i documenti di trasporto vengano consegnati con regolarità all'ufficio contabile, in modo che siano a disposizione prima della registrazione della fattura e possano essere consultati in fase di regstrazione stessa per verificare la concordanza dei dati di fatturazione; meglio ancora se si procede all'allegazione del documento di trasporto alla fattura, in assenza di un formale ordine di acquisto emesso in forma scritta.
2) la funzione di ricezione merci sia separata da quella di contabilità fornitori, magazzino e acquisti, e sui documenti di tasporto venga apposto chiaramente un timbro con la data di ricezione.

martedì 4 aprile 2017

GLI ERRORI E I RISCHI NEGLI ACQUISTI, FACILE EVITARLI. (I)



Nel Settore Acquisti si concentrano spesso errori nella gestione delle transazioni, e il flusso di entrata delle merci si presta a rischi rilevanti per l'azienda.

Vediamo questi rischi, e proviamo ad indicare le possibilità offerte per minimizzarli con una corretta indicazione dei passi e degli strumenti interni da approntare. Non è necessario burocratizzare l'organizzazione, aumentare le risorse dedicate oppure far lievitare i costi generali per fare questo,non è neanche necessario avere un software ERP complicato e costoso, in genere i programmi gestionali di media portata anche per le piccole e medie imprese sono sufficienti ed adattabili. In teoria non sarebbe neanche necessario agire attraverso un ERP, anche se vivamente sconsigliato per una questione di organizzazione generale dei dati e per la loro recuperabilità per l'analisi gestionale.

Il primo rischio che incontriamo è quello relativo agli 
  ACQUISTI NON AUTORIZZATI 
cioé quegli ordini a fornitori per servizi e materiali che sono ordinati ed acquistati da parte di chi non è responsabile della trattazione dell'item specifico.
Per tenere sotto controllo la conformità della responsabilità degli acquisti si consiglia di:

1) emettere procedure scritte per le autorizzazioni e i limiti dei poteri di acquisto;
2) tenere un elenco dei fornitori abituali, sulla base delle esigenze di qualità e dell'accordo sui prezzi;
3) emettere gli ordini in forma scritta con firma del responsabile emittente;
4) numerare in ordine progressivo gli ordini su prestampato e dare data certa, in modo de questa sia la chiave univoca di riconoscimento del documento sia per l'azienda che per il fornitore;
5) firmare il documento di ricezione della merce con timbro a datario intestato all'azienda e all'ente ricevente;
6) abbinare il documento di ricezione alla relativa fattura inviata dal fornitore.
 
 Invece per gli
ACQUISTI DIVERSI NON NECESSARI E NON INERENTI, 
oppure IN MISURA ECCEDENTE I BISOGNI AZIENDALI
è meglio procedere a:

1) far controfirmare l'autorizzazione alla spesa da parte della funzione aziendale utilizzatrice;
2) far originare l'ordine dall'ente aziendale che ne fa richiesta e che è responsabile dell'utilità economica nel processo adell'impresa.

Le aziende hanno bisogno anche di verifica sulla qualità del prodotto acquistato, pertanto esiste un rischio di
PRODOTTI NON RISPONDENTI ALLE ESIGENZE PRODUTTIVE
In questo caso è consigliato:

1) verificare l'affidabilità dei fornitori interpellati attraverso una analisi dell'incidenza e sequenza temporale delle non conformità nelel consegne;
2) specificare nell'ordine le caratteristiche di qualità, in modo che il responsabile della ricezione possa effettuale un controllo ed un confronto
Questi facili passaggi riguardano la gestione dell'ordine di acquisto, la prossima volta tratteremo l'obiettivo della corretta contabilizzazione degli acquisti, perchè anche nella funzione contabile si annidano possibilità di errori e rischi di irregolarità.


mercoledì 29 marzo 2017

PATTI FAMILIARI CHIARI, IMPRESA LONGEVA!


Il passaggio della gestione aziendale tra generazioni familiari è, come sappiamo, uno dei momenti piú delicati, soprattutto per le piccole e medie imprese, che spesso non possono usufruire di un management organizzato e diffuso come nelle grandi aziende.
Il problema è spesso la volontà di gestire in autonomia il passaggio, senza ricorrere a esperti o manager esterni, o la scarsa preparazione ad affrontare la situazione.
Una delle possibilità che si possono seguire al fine di chiarire la situazione gestionale nuova ed evitare recriminazioni di carattere ereditario o di spartizione tra i membri della nuova generazione è l'utilizzo del Patto Legale Familiare, detto anche 

Patto di Famiglia

previsto e regolamentato dalla Legge n. 55 del 14 febbraio 2006. Si tratta del contratto in base al quale, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.
Esso consente al titolare dell’impresa di anticipare il momento del trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali ai discendenti o al discendente che si sia dimostrato maggiormente idoneo alla gestione dell'impresa.
Il Patto di Famiglia è un contratto plurilaterale, inter vivos, ad effetti reali rientrante nell'ambito degli atti a titolo gratuito, che consente difatti di realizzare un duplice obiettivo: da un lato, prevenire il radicamento di liti ereditarie e la disgregazione di aziende o partecipazioni societarie, dall'altro, l’assegnazione di tale complesso di beni a soggetti inidonei ad assicurare la continuità gestionale dell'impresa. 
Al contratto devono partecipare, secondo quanto previsto dal codice civile non solo il disponente e beneficiario, ma anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell'imprenditore., e gli assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni societarie sono inoltre tenuti a liquidare, in denaro od in natura, gli altri partecipanti al contratto, a meno che questi ultimi non vi rinunzino in tutto od in parte, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote.
Sempre il codice prevede inoltre che i beni assegnati a seguito della stipulazione del contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell'azienda, secondo il valore attribuito pattiziamente, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti.

L'importanza di questa disposizione normativa consente dunque di garantire la realizzazione di un duplice obiettivo in quanto, con la stipulazione del contratto, viene, da un lato, assicurata la continuità all’impresa, salvaguardandola dalle vicende successorie scaturenti alla morte dell’imprenditore, dall'altro è simultaneamente contemperato il diritto dei legittimari, i quali rinunciano a partecipare alla successione ed alla divisione ereditaria sui beni formanti oggetto dell’azienda o sulle quote sociali.

Già questo puó essere considerato un elemento importante per il passaggio generazionale dell'azienda,  perchè tende a garantire la realizzazione di un duplice obiettivo in quanto, con la stipulazione del contratto, viene, da un lato, assicurata la continuità all’impresa, salvaguardandola dalle vicende successorie scaturenti alla morte dell’imprenditore, dall'altro è simultaneamente contemperato il diritto dei legittimari, i quali rinunciano a partecipare alla successione ed alla divisione ereditaria sui beni formanti oggetto dell’azienda o sulle quote sociali.


martedì 14 marzo 2017

MINIMIZZARE I RISCHI COL CONTROLLO INTERNO

Per quanto piccola possa essere un'azienda, la gestione in ogni caso è complessa e articolata. I rischi sono molteplici, e non solo le grandi aziende necessitano di un sistema continuativo di controllo interno.
Non stiamo parlando dei classici rischi connessi all'attività economica esterna, quali il rischio di mercato, il rischio di concorrenza, o il rischio di cambio; ma dei rischi che sono connessi all'attività interna le cui procedure di controllo hanno per oggetto:
- la salvaguardia del patrimonio aziendale,
- la prevenzione, ricerca e individuazione di frodi, collusioni ed errori,
- razionalità ed efficienza dell'organizzazione strutturale ed operativa,
- attendibilità dei dati contabili e gestionali,
- regolarità formale e sostanziale delle decisioni e degli adempimenti.
Basti pensare alla corretta utilizzazione e manutenzione delle auto, dei macchinari di produzione e dei mezzi informatici aziendali, e di tutti i cespiti, alla gestione della cassa e dei pagamenti tramite banca, delle rimanenze, dei crediti e degli incassi, dell'indebitamento bancario, del portafoglio titoli. Tutti elementi che possono dar luogo, se mal gestiti, a deterioramento patrimoniale o ammanco economico.
É utile prevedere vere e proprie procedure periodiche per ogni rischio interno aziendale rilevante in modo che l'area di errore o frode nel giro di poco tempo sia eliminata.

Un sistema opportuno ed efficiente di controllo interno, con procedure codificate e pubblicate, ha un significato importante anche per l'accesso al credito bancario e per eventuali revisioni ufficiali dei conti, oltre che per controlli dell'autorità fiscale che puó accedere ai documenti di riconciliazione in luogo di procedere a verifiche completamente dettagliate.

Oltre che per fini interni, alcune volte la revisione interna viene effettuata con delega dei soci di minoranza di una S.r.l. a professionisti ai sensi dell'art. 2476 del codice civile per conoscere e controllre i fatti di gestione dell'amministrazione dei soci di maggioranza. In questo caso la revisione si puó estendere anche alle questioni societarie e legali.

Nei prossimi post sull'argomento della revisione interna vedremo come si possono approntare e mettere in pratica facili procedure di controllo direttamente da parte della direzione aziendale.



mercoledì 8 marzo 2017

QUANDO TI LASCIO LE REDINI DELL'AZIENDA?

Una delle fasi piú delicate nella vita aziendale è il passaggio generazionale. Recenti statistiche sulle imprese del Nord Italia ci dicono che solo il 31% delle aziende familiari è gestito dalla seconda generazione, e solo il 15% dalla terza (Fonte: Il Sole24Ore 2015). La generazione dei baby boomers (i nati tra il 1945 e il 1964) si avvicina a lasciare il comando alla generazione Y (nati dopo il 1980) e il rischio che la successione fallisca diventa più possibile che mai. Un dato rilevato da PwC Italia sulle imprese familiari. Gli imprenditori italiani con piú di 60 anni sono il 60% del totale. Questo vuol dire che nei prossimi 10/15 anni dovranno affrontare il passaggio generazionale.
Ma il dato piú importante è relativo a quante aziende non sopravvivono al cambio generazionale: il 25% cessa l'attività o fallisce alla seconda generazione, il 15% alla terza. Non necessariamente per responsabilità di chi è succeduto nella proprietá, sia ben chiaro. Tuttavia il dato è significativo.

Molte volte la volontà del titolare di lasciare l’azienda a figli o nipoti è molto forte, quasi un’imposizione, implicita o esplicita, nei loro confronti: se capacità o le motivazioni dei successori non sono sufficienti, questo può tradursi in un insuccesso dell’impresa, nel medio o addirittura nel breve periodo. L’azienda è spesso vista dalla prima generazione di imprenditori come fonte occupazionale per i membri della famiglia, cui vengono assegnati – in fase di passaggio – ruoli di responsabilità anche a fronte di competenze e capacità inadeguate, causando la demotivazione (nel peggiore dei casi ostilità) delle forze valide presenti in organico, oltre a performance aziendali deteriori. Puó anche accadere che la decisione sul passaggio venga rimandata continuamente, sia per scarsa fiducia nei figli e nipoti, sia per la paura di perdere il controllo da parte dell'attuale proprietario, magari anche fondatore. Alcune volte questo si traduce in dinamiche di conflitto e dannosa sovrapposizione nella direzione aziendale.
Per ovviare a queste situazioni è necessario programmare con tempo i passaggi della successione. Oltre ad avere ben chiare le regole da rispettare in questi casi. Continueremo il nostro discorso

domenica 5 febbraio 2017

PRENDERE IN MANO IL LAYOUT DI PRODUZIONE



Avere una disposizione planimetrica carente o errata delle fasi di produzione (dei sistemi, degli stabilimenti, dei processi ) necessita di maggiori trasporti, di maggiori scorte, di maggiori collaudi, di un maggior numero di rilavorazioni, di manutenzioni non programmate, e ulteriore tempo per il riattrezzaggio delle macchine. In una parola: aumento di costi.
Alcuni anni fa, mi sono occupato di una azienda di carpenteria pesante che aveva fatto notevoli investimenti in una macchina per taglio a laser con tecnologia CNC, con l'obiettivo di aumentare la produzione per migliorare i risultati. Tuttavia questi risultati stentavano ad arrivare, anzi, per dir la verità, non arrivavano. Nonostante l'investimento avesse portato effettivamente ad una diminuzione dei costi fissi di produzione dovuto al considerevole aumento dei volumi prodotti e delle vendite. Analizzando il processo era emerso, però, che era anche aumentato, e in maniera più che proporzionale, il costo della manodopera e le giacenze di materia prima. Migliaia di ore straordinarie al mese, in pochi mesi dall'acquisto delle macchine CNC, erano diventate uno standard normale. 
Ciò era dovuto al layout delle lavorazioni che era rimasto, pressoché uguale a prima, con le sue caratterisitiche di incoerenza fisica e, quindi, di inefficienza produttiva. I tempi di movimentazione e trasporto interno allo stabilimento si erano complicati anche a causa dei nuovi livelli di stock e della mancanza di spazio, andando ad appesantire una situazione già caotica, e per di più resa maggiormente critica con l'aumento dei volumi di produzione. In una situazione come il settore della carpenteria, dove i margini per unità prodotto sono storicamente esigui ed é necessario lavorare su grandi volumi, in assenza di una pianificazione planimetrica ottimale, l'investimento che doveva portare ad un aumento delle vendite e un conseguente abbattimento dei costi fissi, si rivelò una gabbia da cui era difficile ora evadere.
Ci mettemmo in ufficio due giorni col responsabile della produzione, gli operai professionalizzati più anziani, e l'amministratore che andava e veniva e seguiva le fasi del nostro confronto. Alla fine ne uscì una disposizione nuova che solo in parte venne applicata, anche se non quella che avevamo previsto a causa dell'indisponibilità dell'azienda a sostenere ulteriori spese per la ristrutturazione e ammodernamento del capannone.
Tuttavia la nuova configurazione dei lavori funzionò: in tre mesi gli straordinari si abbassarono quasi a zero, e le chiusure mensili del conto economico dimostrarono un sensibile miglioramento, sia per la diminuzione dei costi che per l'ulteriore aumento delle vendite dovuto al rispetto delle consegne conseguente ad un miglior flusso di produzione.

La prima regola per migliorare il layout consiste nel tracciare il flusso del lavoro, la seconda nel sistemare i fornitori a monte il più possibile vicino agli utilizzatori posti a valle. Sulla base del tracciato di flusso si possono apportare le dovute modifiche dei e nei reparti, in modo che i prodotti si formino sulla base di fasi successive continue e contigue, eliminando al massimo gli ostacoli, i giri a vuoto e, sulla base di una ottimale programmazione della produzione, anche il riattrezzaggio delle macchine. 

mercoledì 1 febbraio 2017

SI PUÓ PROGRAMMARE SUL MEDIO PERIODO OGGI?


 
In azienda direzione è sinonimo di programmazione, e ogni decisione viene presa per conseguire risultati migliori del passato. Bella scoperta! Beh, si è una scoperta, soprattutto nelle p.m.i., soprattutto perché questo vorrebbe significare che sarebbe utile una programmazione almeno di medio periodo (dire lungo non sarebbe esagerato, ma ci limitiamo, dati i tempi...).
La vera programmazione di medio periodo è che si riconosce il fatto che molte decisioni importanti dovrebbero essere formulate per periodi dai 3 ai 5 anni. Infatti molti problemi sono di medio periodo di per se stessi, non possono essere risolti in giorni, o settimane o alcuni mesi.
Pensiamo, per esempio, alla prospettiva di esaurimento di una fonte di materie prime, oppure all'entrata in vigore di una legislazione che mette al bando, in alcuni anni, un certo materiale per motivi antinfortunistici, oppure sanitari oppure ambientali. Sono tipici casi di programmazione di esaurimento di una produzione e di entrata in funzione di nuova produzione, che certo non può essere fatta a breve.
Se aspettassimo che il materiale sia esaurito oppure che arrivi la scadenza di uso, non potremmo prendere nessuna decisione giusta. Quando il presidente, l'amministratore delegato o il direttore generale lasciano l'azienda, essa dovrebbe avere già precostituito un piano di sostituzione. Quando scopriamo improvvisamente che alcune aziende concorrenti hanno diminuito i prezzi per aver installato nuovi impianti più efficienti o nuovi software che forniscono informazioni più adeguate per la produzione o nuovi metodi di gestione, non possiamo prendere alcuna efficace risoluzione per sottrarre l'azienda a ingenti perdite.
Queste decisioni avrebbero dovuto essere prese prima che si risentisse degli eventi citati.
Questo ci conferma che sarebbe sempre necessaria una programmazione di medio (se non lungo) periodo. Che non può essere che supportata da adeguate informazioni ed elaborazioni delle stesse.
La vulgata corrente per la quale la velocità di cambiamento dei mercati e dei bisogni dei clienti coglie sicuramente un aspetto di verità dell'economia. Ma si riferisce soprattutto ai prodotti e alle dinamiche di acquisto e di consumo. Che non eliminano la necessità di programmare la strategia di un'azienda almeno sul medio periodo.

domenica 22 gennaio 2017

L'ALLEGORIA DELLA CAVERNA DI PLATONE

Ogni volta che mi capita di fare una riunione per vedere i risultati aziendali mensili, non mi sottraggo alla sensazione che facciamo tanti discorsi sulla base non di conoscenze, bensì di ombre. Come Platone nel mito della caverna indicava nelle ombre i simulacri errati delle cose proiettate sulla parete dal fuoco, che gli uomini incatenati sul fondo scorgevano; così  in azienda noi vediamo l'ombra monetizzata, o meglio finanziaria, delle risorse e dei prodotti, che rimangono per lo più nascosti alla vista dell'alta direzione.
Rimarrebbe da chiarire chi proietta la luce da cui discendono nella caverna le ombre. Se approfondisco rischio di farmi venire un po' di senso di colpa...
Ora, già da tempo ho maturato una convinzione: che il basare il controllo di gestione sui dati contabili e finanziari non è che il riflesso di una fase economica in cui gli elementi finanziari in azienda e nell'economia sono diventati preponderanti rispetto ai processi che utilizzano le risorse.
È un discorso complesso che varrebbe la pena di introdurre anche solo per capire come si riverbera la macroeconomia sulle scelte di governo delle imprese, o, meglio, il contrario, cosa sta alla base dei processi macroeconomici. Mi riprometto di farlo più avanti.
Per il momento mi limito a seguire il filo del ragionamento iniziato in altri post.
Continuando sull'onda del mito platonico, possiamo pensare a un prigioniero (aziendale) che riesca a liberarsi e uscire dalla caverna: passerebbe dalla visione delle ombre contabili proiettate sulla parete oscura, ad una visione chiara delle risorse e dei prodotti utilizzati per creare quelle ombre e, infine, ad osservare la gente che lavora nei processi che consumano quelle risorse. Un docente americano di management degli anni '90 disse che i dirigenti 
"che ritengono di controllare le operazioni con le informazioni relative ai risultati contabili delle operazioni, sono paragonabili ad un automobilista che si serve dello specchietto retrovisore per guidare la macchina, o di un tennista che giochi guardando il tabellone dei punti. Tutti sanno che guardare esclusivamente nello specchietto retrovisore  o il tabellone del punteggio conduce inevitabilmente al disastro in autostrada o sul campo da tennis. Apparentemente, però, sono poche le persone che giungono alle stesse conclusioni in merito all'uso delle informazioni contabili per controllare le informazioni aziendali". (H. Thomas Johnson).
Tuttavia l'uso dei dati contabili per analizzare e decidere è così radicato che vale la pena, prima di passare a scorgerne delle alternative, di vedere come si è creato e la facilità d'uso che ne ha permesso una rapida espansione. La prossima volta.
 

domenica 15 gennaio 2017

SPOSTAMENTO NELLA COMPOSIZIONE DEL CAPITALE AZIENDALE



Continua il nostro discorso sul cambio di paradigma nella composizione delle componenti del capitale d'impresa che si è verificato negli ultimi anni, e la conseguente obsolescenza (tanto per usare un termine "patrimoniale") dei tradizionali sistemi di valutazione economico-finanziario che usano le aziende.
Prima di continuare è utile dare una definizione, il più possibile semplice, di Capitale intellettuale, per come viene comunemente considerato: é l'insieme dei valori intangibili, spesso non valutati e contabilizzati, che costituiscono parte del patrimonio aziendale o che sono suscettibili di aumentarne il valore nel tempo.
se chiamiamo le cose col loro nome, all'interno del Capitale intellettuale di un'impresa identifichiamo:
- il personale e i collaboratori di elevato valore tecnico e strategico
- le relazioni strategiche con i clienti e quota di mercato
- i processi produttivi innovativi
- le procedure interne che apportano efficienza ed efficacia
- le proprietà intellettuali come i brevetti e i marchi
- il valore per l'azienda degli assets intangibili iscritti nelle Attività patrimoniali
Alla luce di questo piccolo elenco appare chiaro, anche solo percettivamente, come lo spostamento avvenuto nella composizione del capitale dell'impresa sia da prendere sul serio, e non possa lasciare inalterati gli strumenti di controllo e pianificazione che si usano in azienda.
Uno studio di Gartner Group sul rapporto tra Capitale Intellettuale e Capitale Finanziario che in 9 settori economici su 11 in cui è stata divisa l'attività economica (restano fuori l'automobilistico e l'edilizia), il rapporto tra Capitale Intellettuale e Capitale Finanziario/Tangibile è superiore a 1, e va da un minimo di 1,2  a un massimo di 2,8 , con un ventaglio intermedio compreso tra questi due estremi.
Già nel 1998 PricewaterehouseCoopers USA segnalava che il 78% del valore capitalizzato delle aziende ricomprese nello S&P 500 era da ricondurre al Capitale intellettuale (Fonte: Business Wire 17/04/2000).
La lacunosità che caratterizza la gran parte dei documenti informativi utilizzati nella maggior parte delle aziende, che tagliano di netto le possibili implicazioni relative alla valutazione del Capitale intellettuale continuando a prendere in considerazione presso che esclusivamente  le rilevazioni quantitative gestionali in un'ottica prettamente finanziaria, costituiscono un quadro di riferimento limitato agli esiti di breve periodo (passato o futuro). Questo perché non viene riconosciuto l'effettivo potenziale, in termini di valore presente e di capacità di sviluppo futuro, insito nel Capitale intellettuale dell'azienda.

mercoledì 11 gennaio 2017

FUORI DAI LIMITI!





Forse può sembrare non molto ortodosso da parte di un professionista della progettazione di sistemi di controllo economico-finanziario e tesoreria, criticarne la portata attuale. Ma non è come sputare nel piatto in cui si mangia, anzi, è una critica ai limiti dei sistemi tradizionali di controllo gestionale, utilizzati normalmente dalla generalità delle aziende, con il fine di superarli per migliorarli e renderli più aderenti alla realtà aziendale attuale.
È infatti riscontrabile un’anomalia di non poco conto in quasi tutti i sistemi di controllo tradizionale: i canoni e i principi cha guidano la costruzione e l’output degli strumenti di misura delle performance sono il frutto di impostazione “datate” rispetto all’evoluzione economica e organizzativa delle aziende di oggi.
La programmazione che si fa col budget, il reporting direzionale, gli indici economici-finanziari per conoscere le prestazioni dell’impresa, già erano diffusi nei primi 50 anni del ‘900; la valutazione degli investimenti risale alla fine della seconda guerra mondiale. Si trattava allora di aziende con scarsa differenziazione dei prodotti, disponibilità di risorse solo materiali, orientate al volume della produzione e all’efficienza, relativamente stabili sul piano competitivo.
Caratteristiche che troviamo spesso anche oggi, ma a cui si aggiungono elementi che cambiano il paradigma del controllo di gestione perché diventati preponderanti, quali: la differenziazione e la qualità dei prodotti e servizi per offrire ai clienti riposte sempre piú adeguate ai loro bisogni e necessità. Non è più il solo tempo della quantità, si sono aggregate una moltitudine di variabili che hanno determinato una complessa configurazione dei costi gestionali, che assieme al ciclo di vita dei prodotti e al periodo che intercorre tra l’ideazione e la commercializzazione (time to market) sempre più breve, rappresentano gli elementi caratteristici delle dinamiche competitive di questi anni.
Senza contare lo spostamento della struttura patrimoniale di molte aziende, che sono passate da attività presso che costituite da soli beni tangibili, ad un aumento considerevole degli assets intangibili. Nello stesso tempo è aumentata l’importanza strategica delle risorse immateriali, che nelle aziende evolute assume un ruolo determinante.
In questo senso è sorprendente che ancora in moltissime aziende non si valuti un adeguamento delle tecniche (e degli strumenti informativi/ci essenziali) di controllo e valutazione della gestione.

sabato 7 gennaio 2017

MA QUAL È IL VALORE DI MERCATO?

Il criterio del valore di mercato di un bene è utilizzato in numerose norme di legge e pricipi contabili. Basti pensare solo alla normativa sui prezzi delle transazioni intragruppo, meglio conosciuta come "transfer pricing", oppure lo IAS 16 che parla di "fair value" riferendosi ad esso come il corrispettivo al quale deve essere scambiata una attività od estinta una passività "in libera transazione tra parti consapevoli e disponibili".
Tuttavia, nella pratica gestionale e contabile corrente, le cose non sono cosí chiare come sembrano. In realtá esistono due concetti diversi di valore di mercato: 
- il valore di realizzo,
- il costo di sostituzione.
Il valore di realizzo sembrerebbe piú avvicinarsi alla definizione di prezzo di mercato, in quanto è quello che si puó ricavare ora dalla vendita di un bene. Il costo di sostituzione sembrerebbe invece qualcosa di completamente diverso, tanto che ci si potrebbe chiedere perchè debba entrare in considerazione nella determinazione del prezzo di mercato.
Le risposte a tale domanda sono prudenza e convenienza.
Da un punto di vista prudenziale possiamo considerare il valore di mercato come il minore tra il valore di realizzo e il costo di sostituzione, ma anche quando non si possa fare accenno alla prudenza è spesso piú facile determinare il costo di sostituzione (basta ottenere un'offerta di vendita da un fornitore) e dimostrare che esso è inferiore al valore di realizzo, che determinare un valore di realizzo esatto o almeno approssimativo. Basti pensare al caso delle scorte di magazzino, il costo di sostituzione viene comunemente accettato come fosse il valore di mercato. Oppure alle polizze di assicurazione sui beni hardware contro i rischi di rottura, il valore assicurato è il costo di sostituzione e non il valore di mercato del bene.
 

venerdì 6 gennaio 2017

OBIETTIVITÀ PER LE SPESE GENERALI

Se ampliamo la visione dall'economia aziendale ai cicli economici, se passiamo dal fissare l'albero ad aprire l'obiettivo sulla foresta, ci rendiamo conto che non esiste una autonomia delle tecniche e politiche di gestione aziendale rispetto alle teorie egemoni che emergono nelle fasi economiche, e che vengono elaborate e divulgate dai think-tank di maggior peso politico-economico (grandi società di revisione, gruppi di riflessione, università).
Certo, nel dire questo, non ho scoperto l'acqua calda. Vi è una vasta pubblicistica in materia: per esempio Arnold Harberger della scuola di Chicago (collega di Milton Friedman) distingue tra economia come "scienza" e come "arte": la prima secondo il paradigma neoclassico riguarderebbe lo studio dell'efficienza, mentre la seconda riguarderebbe l'azione dei tecnici nei processi decisionali concreti.
Mi preme perció sottolineare che l'intreccio tra teorie economiche e pratiche di management aziendale è molto piú stretto di quanto sembri.
Un esempio che ho sempre ritenuto paradigmatico di questa relazione, che si puó riconoscere come un rapporto di causa (le teorie generali macroeconomiche) ed effetto (le tecniche e pratiche di gestione) è dato dal trattamento delle spese generali e dei costi della struttura. Negli anni '70 del 900 negli USA, e poi nel decennio successivo in Europa e in Italia, si è cominciato a parlare di (drastica) riduzione delle spese generali e dei costi della struttura. In un ambiente di mercato che si delineava sempre piú competitivo, e dove si affermavano sempre piú le grandi scuole del pensiero liberista, le spese generali e i costi della struttura tendevano ad essere rappresentati sempre di piú come una zavorra di cui liberarsi. Proliferarono in quei periodi (e non hanno mai smesso) le conferenze e i corsi (a lauto pagamento) delle varie scuole di formazione manageriale incentrate su come ridurre questi costi (con promesse addirittura di tagli a due cifre). Furono gli anni della teorizzazione delle esternalizzazioni delle attivitá no-core, delle strategie di cost-cutting (integrazioni di servizi e trasferimenti all'estero), dei licenziamenti di massa come strategia di HHRR, di ridefinizione delle strategia di acquisto volte al contenimento delle scorte e dei prezzi.
Aleggia, tuttavia, da sempre un problema, che è quello della misurazione delle performance comparate tra i costi per transazione (facile da effettuare) e le efficienze in termini di servizi e soddisfazione del cliente (che, di solito, non rientra nei paradigmi di controllo).  
Infatti, i risultati di azioni di riduzione dei costi indiretti di carattere generale sono identificabili velocemente in termini di conto economico, a brevissimo; ma a medio termine sono estremaemnte difficili da rilevare. I vantaggi competitivi delle spese generali e dei costi della struttura sono in gran parte immateriali, e spesso si avvertono in un periodo di tempo relativamente lungo. I costi di alcune attività rientranti nelle spese generali tendono a variare al variare dei volumi di transazione processati (ordini ricevuti, articoli venduti, ddt registrati, ecc.). Ma, nel determinare una politica di controllo delle spese di questo tipo, non c'è un reale problema di "costi": si tratta di valutare la spesa delle varie attività in relazione ai benefici che se ne possono trarre, tenendo ovviamente sempre presente il reddito disponibile per coprire tali spese ed avere una remunerazione certa del capitale investito.
Tali spese e costi sono di solito relazionati alla percezione del servizio reso ai terzi, ai clienti soprattutto. E pertanto il criterio del loro dimensionamento non puó essere frutto di un semplice calcolo economico quando la loro contrazione puó portare a medio ad un deterioramento degli indici di competitività e allo sforzo di neutralizzare le pratiche dei concorrenti.
Con questo non voglio assolutamente affermare che si debbano mantenere le cattive pratiche gestionali, oppure che vi debba essere la piú completa immutabilità di situazione inefficienti.
Solo che queste possono essere eliminate non con tagli indiscriminati di personale e spese, ma pianificando nel tempo processi informativi e formativi adeguati, in modo che il servizio reso (e percepito) al cliente sia sempre migliore, e si possano processare volumi di lavoro sempre piú ampi attraverso la semplificazione, senza pesare sui ritmi lavorativi in maniera abnorme.

giovedì 5 gennaio 2017

LA COAZIONE A RIPETERE

In generale, le organizzazioni aziendali avanzate si concentrano sul lasso di tempo per eseguire un lavoro o un processo (lead time). 
Mentre, quelle a trazione tradizionale che badano solo ai costi, hanno agito sempre sul ritmo (velocità) con cui un lavoro o un processo viene eseguito.
E non c'è dubbio che, a breve termine, le seconde ottengono sicuramente dei successi. Infatti i lead time sono influenzati da molti vincoli, come la progettazione dei prodotti e dei processi, il layout dello stabilimento, i rapporti con i fornitori e le relazioni con il personale. Spesso si considerano questi vincoli come elementi di fatto piú o meno immutabili dovuti a forze esterne all'azienda di cui non si ha il controllo. Avendo accettato questi vincoli come veri, le aziende hanno concentrato l'attenzione giorno per giorno ad "ottimizzare" i ritmi di lavoro.
Attivare l'attenzione sul processo totale (di lavoro, di produzione, di bilancio, di rendicontazione e controllo, ecc.) vuol dire invece analizzare se esso è compiuto correttamente, senza sprechi e inutili passaggi, con l'ottica di semplificare le fasi e ridurre la complessità del lavoro. A medio termine questo non solo comporta maggiori risparmi, ma autoalimenta una maggiore professionalità degli stessi lavoratori che si vedono coinvolti con sempre maggiori deleghe e competenze nel miglioramento dei processi. 
Questo puó comportare, anzi spesso comporta, un salto di qualità negli investimenti di processo e informativi interni, che peró alla fine risultano avere un ROI superlativo, se gestiti con professionalità e competenza. 
Ma è anche vero che le piccole e medie aziende possono avere una visione piú a medio termine rispetto alle grandi aziende quotate, dove gli azionisti spesso non vedono al di là del semestre successivo per realizzare qualche dividendo a scapito della stabilità e del futuro.

IL METODO ANTISTRONZI




Nel 2007, già dieci anni sono passati, venne pubblicato un libro dal titolo che sembrava tutto un programma, "Il Metodo Antistronzi" (Elliot Edizioni, 2007, Roma, pagg. 223), di. Robert L. Sutton, professore di Scienza dell'Ingegneria gestionale presso la Stanford University - California.
Ricordo che vidi per parecchio tempo la pubblicità sul Sole24Ore, in prima pagina. Mi decisi a comprarlo, mi interessava capire se era veramente un metodo da applicare, oppure la solita tirata americana su quanto fanno male i maleducati e gli arroganti nel lavoro, ma senza proporre soluzioni pratiche per eliminare un problema che provoca seri danni psicologici ai lavoratori ed economici alle aziende.
É stato uno dei libri di pratica aziendale piú interessanti che abbia letto, dovrebbe essere studiato nelle facoltá di Economia del paese. Per dare un'idea del contenuto non posso far altro che riportare la recensione che si trova in controcopertina sul libro stesso.

"Nel 2004 la Harvard Business Review pubblicó le venti idee per l'economia del futuro. Tra queste figurava la proposta di Robert Sutton, professore all'Università di Stanford, di adottare un metodo per liberare le aziende da bastardi, arroganti, tiranni, maleducati e prepotenti - in una parola dagli "stronzi" - di qualsiasi età, sesso o livello. Secondo numerose ricerche, infatti, il loro comportamento aggressivo o umiliante demotiva i lavoratori, sgretola l'affiatamento del gruppo, causa l'aumento del turn over e dell'assenteismo, provocando danni enormi non solo alle vittime ma anche alle strutture in cui operano. Quella proposta ora è diventata un libro che a pochi mesi dalla sua comparsa sul mercato statunitense ed europeo ha già venduto piú di un milione e mezzo di copie ed è in via di pubblicazione in altri quindici paesi. Un testo rigoroso ed acuto, vivace e ricco di umorismo, che non si limita alla sola analisi della situazione ma fornisce suggerimenti pratici sia ai dipendenti che ai manager per identificare ed isolare gli stronzi evitando il contagio, venire a patti con loro (solo quando necessario) e, se proprio inevitabile, cancellarli dalla propria esistenza".

mercoledì 4 gennaio 2017

QUALI OBIETTIVI PER LA CONTABILITÀ DIREZIONALE



Già dagli anni '90 del secolo scorso si sono delineate due scuole di pensiero circa l'uso delle informazioni contabili in azienda: da una parte chi considera che la contabilità deve aiutare solo a mantenere la produzione a un livello tale che consenta di assorbire tutti i costi  e, di conseguenza, si pone il problema di persuadere i clienti a comprare a prezzi sufficentemente alti per garantire un alto tasso di rendimento del capitale; dall'altra chi pensa che le informazioni contabili debbano aiutare soprattutto la capacità di reagire prontamente ai cambiamenti e ad essere flessibili per quanto riguarda la soddisfazione del cliente, le eliminazioni dei ritardi e degli eccessi di produzione.
Alla base di questi due comportamenti stanno diverse concezioni della contabilità direzionale.
Per il primo è importante la centralizzazione delle informazioni e delle decisioni, che poi vengono inviate a cascata ai vari settori e lavoratori per l'esecuzione (top-down).  
Per l'altro diviene fondamentale il parere dei clienti e dei lavoratori a partire dal livello piú basso, delegando a questi ultimi il potere di risolvere i problemi e migiorare costantemente i processi. Questo, innanzitutto presuppone investimento in formazione di base, e un processo di delega a partire dal basso (empowerment) che puó far risparmiare notevolmente sia in ricerca e sviluppo, che per l'abbassamento dell'incidenza degli sprechi produttivi (sovralavorazioni, rilavorazioni, movimentazioni inutili, disallineamenti tra fasi, surplus di giacenze o rotture di stock, ecc.).
Torneremo sull'argomento.

martedì 3 gennaio 2017

LE ASPETTATIVE DELL'AZIENDA

Nel 2016, per i dati che abbiamo a disposizione, le variazioni delll'occupazione si presentano altalenanti, ma sempre all'interno di range minimi, e il tasso generale di disoccupazione su base annua diminuisce solo di uno 0,1% (dati ISTAT ottobre 2016).
Dopo un primo periodo di boom delle assunzioni e stabilizzazioni a tempo indeterminato, dovute agli incentivi della Legge di Stabilità 2015, ora assisitiamo ad un'inversione nella tendenza delle assunzioni del lavoro dipendente. Con la limitazione degli incentivi è chiaro che la bolla occupazionale si va sgonfiando e il tasso di dicoccupazione, che nel II trimestre 2016 era calato dell'1% netto rispetto allo stesso periodo del 2015, nel III trimestre è risalito dello 0,2% rispetto al III trimestre 2015 (link ISTAT qui sotto).
L'elemento fondamentale per l'occupazione (e la produzione) è l'aspettativa. L'aspettativa delle imprese circa l'importo che i consumatori saranno disposti a pagare quando esse saranno pronte a fornirli, e, a maggior ragione, se il periodo di tempo fra l'acquisto di merci da trasformare e il prodotto finito da immettere sul mercato é lungo (come nella produzione di macchinari), l'aspettativa deve essere piú forte.
Se l'aspettativa delle imprese non è buona (a dicembre 2016 la fiducia delle imprese è diminuita a 100,3 da 101,4) e il risparmio aumenta (l'indice di propensione al risparmio continua a salire, e dal 2012 è cresciuto di 2 punti sul PIL, passando dal 17% al 19%), l'occupazione ne risente in maniera pesante.
L'aspettativa delle aziende (dell'imprenditore) è determinata dalla propensione al consumo delle famiglie, che a sua volta aumenta se la disponibilità di denaro da spendere e la stabilità del reddito sopravanza il sentiment di dubbio e insicurezza per il futuro che provoca l'aumento della quota marginale di reddito indirizzata al risparmio.
L'intreccio di alta disoccupazione, alti livelli di precarietá del lavoro, alto risparmio (e bassa natalitá) puó provocare una stagnazione di lunga durata, che puó essere combattuta solo aumentando notevolmente il tasso di investimento produttivo e riportando l'investimento finanziario e la relativa rendita a livelli meno remunerativi di questo.


VALUTARE CORRETTAMENTE LE SCORTE

Spesso la valutazione del magazzino fa venire il mal di pancia nei reparti di contabilità e di controllo di gestione, soprattutto quando sono da valutare i semilavorati e i prodotti finiti, cioé quelle entitá economiche in cui è incorporato il valore del lavoro, l'energia o altri fattori diretti utilizzati per costruirle o produrle.
Il criterio fondamentale da usare è quello per il quale il miglior metodo di valutazione è quello che piú chiaramente rappresenta i fatti.
Sono categoricamente escluse dalla valutazione dei semilavorati e prodotti finiti le spese indirette di produzione e amministrative.

LE PROCEDURE AZIENDALI

L'organizzazione di un'impresa si misura anche dal grado di controllo interno nelle varie attivitá che vengono quotidianamente svolte dalle diverse funzioni aziendali.
Le procedure scritte costituscono un punto di riferimento per gli addetti e per i neo-assunti; per chi deve eseguire un lavoro giornaliero; per i revisori interni che devono confermare o meno lo svolgersi delle funzioni secondo standard prestabiliti dal management; per certificare ai soci o ai terzi l'efficienza organizzativa dell'azienda e il livello del controllo interno tendente alla minimizzazione degli errori e delle potenziali frodi.

BATTEZZARE I CESPITI

Ci sono aziende che hanno migliaia di immobilizzi tangibili, spesso distribuiti in numerosi centri o cantieri di lavoro. Un elemento essenziale per la corretta gestione, fisica e contabile, dei cespiti, è costituito da un sistema di identificazione degli stessi, realizzato mediante l'attribuzione di un numero di matricola risultante da un'etichetta apposta sul cespite, che deve corrispondere alla codifica dell'immobilizzo nel sistema di gestione e nel registro dei beni ammortizzabili.

INVENTARIO FISICO DEI CESPITI

Predisporre periodicamente l'inventario fisico dei cespiti, o dotarli di una etichetta barcode o RFID contenente i dati essenziali dell'immobilizzazione (matricola, data di attivazione, ubicazione, costo storico, fornitore) permette di raffrontare l'inventario fisico con le risultanze contabili, di effettuare un'analisi sulle cause degli eventuali scostamenti e un adeguamento della situazione contabile a quella fisica. E' essenziale che ogni spostamento di ubicazione del cespite sia effettuato con documento di trasporto, cosí come l'alienazione o la distruzione.